E’ assurdo credere che con la sperimentazione animale gli animali non vengano fatti soffrire.
"Non c'è nulla di strano, né di oscurantista, nel chiedere al governo di sostenere l'elaborazione, la validazione e lo sviluppo di metodi alternativi alla sperimentazione animale, è invece la strada maestra. E' inoltre assurdo credere che presupposto della sperimentazione animale sia che gli animali non vengano fatti soffrire: l'esperienza dice il contrario". Lo afferma l'on. Michela Vittoria Brambilla, FI, presidente della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell'Ambiente, commentando la polemica intorno al contenuto delle mozioni sul benessere animale in discussione al Senato.
"Fin dagli anni Sessanta – prosegue l'on. Brambilla – nel mondo scientifico si parla di limitare l'impatto della sperimentazione animale attraverso la regola delle tre R: rimpiazzamento (sostituzione con metodi alternativi), riduzione (riduzione del numero di animali coinvolti), raffinamento (miglioramento delle condizioni degli animali) e la stessa direttiva 63/2010, che considero per tanti altri aspetti sciagurata, indica comunque la strada dei metodi alternativi. Solo che i metodi alternativi non crescono sugli alberi: bisogna crederci, finanziarli, diffonderli. Non mi stupisce che a questo processo pongano ostacoli quanti sulla sperimentazione animale hanno edificato tutta la propria carriera: è comprensibile, ma bisogna guardare al futuro".
"Personalmente – aggiunge l'on. Brambilla – sono contraria ai test su animali per ragioni etiche. La sofferenza di un esser vivente non è un'astrazione, ma qualcosa di molto concreto. So che la parola "vivisezione" dà fastidio a chi pratica – come si preferisce dire oggi, in omaggio alla "correttezza politica" – la "sperimentazione animale", ma proprio per la sua carica emotiva è l'unica appropriata, non ipocrita, per definire procedure che provocano negli animali "dolore, sofferenza, angoscia e danni durevoli". Da questo punto di vista sono convinta che vi sia continuità tra la vecchia fisiologia ottocentesca "squartatrice" e alcune pratiche "moderne". Entrambe, infatti, hanno come presupposto, questo sì, la riduzione dell'animale a mero oggetto, del quale ci si può tranquillamente servire senza preoccupazioni morali".
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