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Attacchi con le stellette

Nell´anniversario dell´Unità d´Italia, l´omaggio a cavalli e muli adibiti al traino, che hanno rappresentato una parte importante nella nascita e nei 150 anni di storia della nostra nazione

In ambito militare l’impiego dei cavalli attaccati viene raramente ricordata, dando adito così, soprattutto nelle nuove generazioni nate dopo l’avvento della motorizzazione, a confusione nelle diverse tipologie e nelle mansioni loro affidate, tanto che molti ritengono “artiglieria a cavallo” sinonimo di “artiglieria ippotrainata”. Niente di più errato, come spiegheremo più avanti.

Le artiglierie erano, fino alla metà del XVIII secolo, trainate dai buoi: lenti e possenti, potevano spostare i pesanti cannoni nelle campagne teatro di guerre e battaglie. Federico di Prussia, avendo in dotazione cannoni in quantità insufficiente a garantirgli la vittoria, ebbe l’intuizione di rendere la loro movimentazione più veloce sostituendo i cavalli ai buoi ed ottenendo uno strumento capace di ribaltare le sorti di uno scontro. Sviluppata ulteriormente da Napoleone, questa innovazione fu poi introdotta in Italia.


Artiglieria ippotrainata
La principale differenza rispetto all’Artiglieria a Cavallo è costituita dal maggiore peso dei pezzi da trasportare che rendeva necessario l’impiego di cavalli da tiro pesante, lenti negli spostamenti (8 Km/h) e quindi destinati al sostegno della fanteria. Proprio a seguito della ridotta velocità, i quattro serventi erano seduti sul cassone e sul pezzo, mentre gli altri tre montavano sui cavalli di sinistra delle tre pariglie adibite al traino. A volte i muli, specie nell’artiglieria pesante campale addetta al traino di cannoni ancora più pesanti, potevano prendere il posto dei cavalli.

La razza di cavalli impiegata per l’artiglieria ippotrainata era costituita nel secolo scorso da soggetti cosiddetti TPR, ovvero cavalli da “tiro pesante rapido”, frutto di incroci effettuati prevalentemente a fine ‘800 inizio ‘900, tra stalloni Norfolk-Bretoni e fattrici autoctone, prettamente di ceppo Hackney, allevate nelle aziende agricole delle pianure del Nord-Est d’Italia. A seguito di successive selezioni nell’allevamento, vennero a delinearsi linee di sangue italiane destinate a soddisfare il fabbisogno dell’artiglieria: per questa ragione si parlava nei primi decenni del ‘900 anche di “Cavallo Artigliere Italiano da Tiro Pesante Rapido”.


Artiglieria a cavallo
La peculiarità dell'artiglieria a cavallo consisteva nel fatto che i serventi (soldati addetti ai cannoni) erano montati a cavallo e nessuno sedeva sul cassone delle munizioni o sul pezzo. Grazie ad alcune modifiche del modello ippotrainato, consistenti nello scudo in un pezzo unico con attacchi modificati per ridurre le vibrazioni, ganci rinforzati per i maggiori sforzi, vomero ribaltabile per un minore ingombro, allungamento della coda e modifica della culatta per arretrare il baricentro, e con un peso ridotto a 900 kg, il mezzo permetteva  andature più veloci anche fuori strada, con il superamento persino di larghi fossati al galoppo, senza il rischio che gli artiglieri venissero sbalzati dai mezzi.

La maggiore rapidità di spostamento e di manovra consentivano quindi alle Batterie a Cavallo di operare a stretto contatto con le unità di Cavalleria. Famose per le prese di posizione al galoppo a pochi metri dalle linee nemiche, sulle quali aprivano celermente il fuoco a mitraglia (definite anche cariche di artiglieria), esse venivano dette nel gergo militare anche "batterie volanti". Secondo i manuali, la velocità di spostamento dell’artiglieria a cavallo era di 12 km/h.

Un tiro era composto da sei cavalli, articolato in tre pariglie (volata, di mezzo e timone) con i cavalli di sinistra montati dagli artiglieri conducenti, preceduti dal capo pezzo e seguiti, a cavallo, da altri 4 serventi per un totale di 11 cavalli per squadra pezzo.

Le Batterie a Cavallo nacquero nel Regno di Sardegna ad opera di Alfonso Ferrero Marchese della Marmora l'8 aprile 1831 con lo scopo "di far campagna come artiglieria leggera" in appoggio celere ed aderente alle unità di cavalleria.

Con il motto “in hostem celerrime volant”, furono anche chiamate "Voloire",  Il termine deriva dal piemontese e più precisamente significa "volante", poiché la velocità con cui le batterie a cavallo percorrevano le strade del Piemonte facevano esclamare alle popolazioni: "Passa la Voloira!".
I cavalli dell’attuale sezione milanese delle “Voloire” sono dei Franches Montagnes altrimenti noti come Freiberger, originari della Svizzera. Questa razza, che risale alla fine dell'Ottocento, deriva dal Purosangue Inglese incrociato con l'Anglo-Normanno e le caratteristiche principali sono resistenza, forza muscolare, maneggevolezza, piede sicuro e velocità.


I carriaggi
Il termine generico di carriaggi designa sin dall'antichità l'insieme dei mezzi di trasporto, quasi sempre a trazione animale, che serviva a muovere in particolar modo gli approvvigionamenti militari al seguito degli eserciti in battaglia. Era costituito perlopiù da carri robusti e pesanti, a quattro ruote. Al Museo della Cavalleria di Pinerolo (TO) sono conservati un carro rifornimenti, un carro bagaglio, un abbeveratoio da campo ed un carro reggimentale. L'importanza degli stessi era strategica in quanto la sua presa di possesso da parte dell'avversario significava spesso il dover abbandonare la contesa.

Nel linguaggio comune venne anche utilizzato come sinonimo di vettovagliamento in genere e si presume abbiano anche potuto dare origine al nome con cui è conosciuta una particolare zona di Genova, i Caruggi.
Spesso si sente parlare di “treno” (o traino): si tratta dell’insieme degli uomini, dei cavalli e dei carri addetti al trasporto di materiale militare dell’artiglieria di campagna con ogni loro carreggio, munizioni ed attrezzi. Oltre ai pezzi incavalcati sui loro affusti, vi erano i carri per munizioni, per le cartucce della fanteria, per materiali di riserva e per fucina.
Molte quindi le tipologie di carri al servizio dell’esercito.

 

Articolo estratto dal n°3/2011 di Carrozze&Cavalli, la rivista per tutti gli appassionati di redini lunghe!

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Autore: Franco Ferrari
Pubblicato su Carrozze&Cavalli 3/2011


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