Erano veramente grandi.
Li guardavo ma loro non mi guardavano.
La scuderia sembrava un luogo sacro dove abitavano delle creature incomprensibili, diverse da tutte le altre creature che avevo sino ad ora incontrato, che mi facevano un po' paura. Non paura fisica. La paura che ti prende quando devi affrontare qualche cosa di grande, che non capisci ma che in un certo senso ti attrae.
È la paura che senti quando sei attratto da qualche cosa che potrebbe portarti su una strada sconosciuta e apparentemente piena di pericoli.
Loro erano alteri, sensibilissimi ma distaccati, disponibili ma testardi, forti ma paurosi.
Una vera e propria contraddizione rispetto a quella che era la mia conoscenza delle reazioni degli esseri viventi. Allora, o ti butti nella cosa oppure scappi, non ne vuoi sapere niente. Fino a quel punto montavo a cavallo ma rispondevo al distacco dei cavalli con il mio distacco. Ero timido rispetto a tutto il mondo che li circondava.
La scuderia era sempre più un luogo esoterico dove avvenivano pratiche affascinanti e quasi magiche relativa alla cura del cavallo.
La cura del cavallo è una pratica meravigliosa dove la parte razionale ha una quota sicuramente minoritaria.
I grandi veterinari e i grandi uomini di cavalli curano efficacemente il cavallo basandosi sull'esperienza e sulla propria sensibilità affinata all'osservanza dei cavalli e questo non per ignoranza o per sottosviluppo culturale ma perché, nonostante tutti gli strumenti tecnologici a disposizione, spesso i mali del cavallo sono incomprensibili e solo la sensibilità di chi gli sta attorno riesce a capirli. Bene, tutto questo per me è sempre stata una cosa meravigliosa ma da ragazzo non sapevo quanto lo fosse e come avrei potuto coglierla. La conoscenza del cavallo l'ho fatta standoci sopra.
Montavo a cavallo a Casorate e ne traevo un sacco di soddisfazioni.
Mi piaceva imparare l'armonia del cavallo, mi piaceva capire come chiedere collaborazione – dato che a un cavallo si chiede e non si ordina – mi piaceva andare veloce, mi piaceva la sensazione di volo sicuro del salto, mi piaceva la sicurezza che sentivo quando galoppavo in cross, mi piaceva sentire la fiducia ricambiata del mio cavallo…
E poi c'erano le persone! Delle persone meravigliose. C'era il Maestro Roman – mai fu più appropriata la parola Maestro – ti insegnava a essere te stesso sopra il cavallo, ti dava sicurezza e forza, era severo ma sempre giusto, educato ma fermo, con principi forti e belli. Era sempre ben vestito e rigido.
Una volta mi fece un complimento. Mi ricordo ancora il valore che lui gli attribuiva e la solennità del momento. Quel complimento fattomi da quest'uomo, questo militare tutto di un pezzo mi è sembrata una decorazione, una medaglia, un'iniziazione.
E poi c'erano gli amici. Fu bellissimo.
Eravamo amici non concorrenti si parlava solo di cavalli ed alla fine di ogni serata passata insieme ci sentivamo più vicini e certi che avremmo raggiunto con facilità tutti i nostri bellissimi sogni di gloria. E poi le gare. Andavo bene. Ero bravino.
Ma come sempre nella vita incontrai un cavallo che mi disse "ma tu credi veramente di essere bravo? Vedremo…" e ricevetti una bella lezione di umiltà. Si chiamava Fraser. Era un purosangue baio, bellissimo, alto 1 metro e 63.
Io pensavo di essere un mezzo fenomeno, un po' fighetto e molto sicuro di sé.
Feci un paio di gare abbastanza bene, poi il Maestro se ne andò a lavorare da un'altra parte e ci venne assegnato un istruttore tedesco.
A lui questo cavallo non piaceva e a me non piaceva lui (e mi sbagliavo) e io non piacevo a lui. Pensava di me che ero un presuntuoso e aveva perfettamente ragione.
Un giorno lui montò il mio cavallo e da quel giorno io non riuscii più a montarlo.
Qualunque cosa gli chiedessi lui si impennava e si rifiutava di avanzare.
Mamma mia, quanto tempo ho passato a cercare di risolvere il problema, quante volte l'ho montato senza riuscire a combinare niente.
Poi andava un giorno bene ed un altro male senza nessuna apparente ragione.
Ho insistito in tutti i modi, mi sono arrovellato il cervello in mille soluzioni fallimentari.
E poi, dopo due anni, ho mollato. Abbiamo venduto il cavallo.
Una sconfitta pesantissima. Da questa sconfitta, però, ho imparato un sacco di cose.
La cosa più importante che ho imparato è quella di essere modesto e umile davanti alle cose che incontri, quando pensi di avere imparato tutto non hai imparato quasi nulla e se ti convinci che invece sai tutto allora non arriverai mai in fondo alle cose.
Ho imparato anche che non si può avere tutto quello che vuoi.
Io avrei tanto voluto riuscire a trovare una strada, un modo per fare andare bene quel cavallo ma non ci sono riuscito e avrei potuto insistere mille anni che non ne avrei cavato un ragno dal buco. Adesso, andando in India, ho scoperto che anche il Dio Ganesh ha una zanna rotta per ricordare che davanti a delle difficoltà insormontabili bisogna dire basta, arrendersi per potere percorrere nuove strade. Poi ebbi altri cavalli e altre soddisfazioni ma più passavano gli anni, più mi interessava il cavallo, più che il montare a cavallo.
Un bel giorno decisi che mi sarebbe piaciuto allevare i cavalli.
Tutti mi sconsigliarono. Tranne Gino che mi incoraggiò sempre.
Gino per me è stata una figura fondamentale. Lui riesce a curare i cavalli perché li conosce profondamente, lui sa preparare un cavallo perché ne intuisce le necessità.
Io l'ho sempre osservato con attenzione e ho cercato, attraverso di lui, di apprendere il più possibile. Una delle cose fondamentali, che ho imparato, è la questione del tempo.
Noi abbiamo il nostro tempo, il cavallo ha il suo tempo e se tu non vai a tempo con il cavallo ma pretendi che lui si adegui al tuo si crea disarmonia e non si combina niente di buono. Mi ricordo che una volta gli chiesi "quanto tempo ci vuole perché il cavallo guarisca?" e lui mi rispose: "Ci vuole il suo tempo".
Da questo ho capito che noi scandiamo il tempo in ore, giorni, mesi, anni, ma il cavallo che fa parte della natura lo scandisce con il ritmo del proprio essere senza, perciò, imporsi scadenze da rispettare. Bene, cercai un posto dove allevare i cavalli.
Era un pomeriggio nebbioso ma il posto mi piacque immediatamente moltissimo: era Borgarello. Una sensazione che non si può spiegare con la ragione, credo che abbia a che fare con la memoria dei luoghi e dei muri. Posti che hanno visto uomini felici, entusiasti trasmettono sensazioni di gioia e questo era uno di quei luoghi.
Le cose nella vita andavano veloci, avevo fatto la mia agenzia e stavi per nascere tu.
Io di allevamento di cavalli ne sapevo veramente poco anzi praticamente niente.
È stato molto appassionante e coinvolgente imparare una cosa nuova. La prima fattrice fu Cinciamora e il primo puledro nato fu Ottiglio. Mi ricordo che ero a Milano, tu eri piccolissimo, una notte chiamò Pantaleo " Sta per nascere " saltai in macchina e arrivai insieme al veterinario. Vidi la cavalla distesa per terra con le gambe anteriori del puledro che uscivano dalla vagina. La cavalla si alzava e si buttava giù in preda ai dolori del parto con le gambe del puledro che uscivano, uno spettacolo inquietante e primordiale.
Ad un certo punto la cavalla si distese e il veterinario disse "tiriamo".
Tirai le gambe del cavallino a tempo con le contrazioni con tutte le mie forze e ad un certo punto il puledro uscii avvolto nel sacco amniotico, guardai la faccia del puledro e sembrava morto. Immobile, la lingua fuori le orecchie di traverso dissi tra me "è morto ".
Il vet mi fece aprire il sacco e, miracolo, il puledro prese vita, raddrizzò le orecchie, respirò a fondo e fece il suo primo nitrito.
Gli altri cavalli in scuderia nitrirono per dargli il benvenuto. Una cosa da pelle d'oca nel buio della notte. Tanti altri cavalli hanno seguito Ottiglio e, se Dio vorrà, tanti altri ne nasceranno e ogni volta che nasce un puledro è la stessa emozione, speranza e gioia come quando è nato il primo.
I cavalli sono così, ti concedono sempre nuove emozioni, speranze, gioie.
Ogni volta che credi di avere capito qualche cosa di come funzionano vieni smentito.
Potrei andare avanti a raccontare della doma dei puledri, delle loro prime gare, di quelli che sono morti, di quelli che ho amato di più e tante altre cose ancora, ma questa è vita recente che prima di raccontare vorrei vivere ancora un po'.
Se lo vorrai lo farò nel prossimo tema che mi darai.
Giovanna Spada, foto di Piero Prinetti / Beatrice Scudo
Articolo pubblicato sul numero di gennaio di Hippocampo
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