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26 Luglio 2024

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Al Museo della Carrozza di Macerata.

Viaggiare in Wagonette rappresenta una diffusa consuetudine nelle Marche sino ai primi anni del Novecento.
Articolo di M. Vittoria Carloni.

La Wagonette rappresenta il mezzo di trasporto che più di ogni altro abbia stimolato l’andirivieni sulle piazze cittadine, con le più variegate tipologie di passeggeri e di ingombranti bagagli. Antesignana della diligenza e della corriera, costituisce infatti il veicolo più in voga per gli spostamenti dal centro alla periferia, ovvero alle località limitrofe, di fatto tanto prossime quanto distanti nella comune percezione a causa delle cesure segnate dalle colline. Ciò è davvero tipico nel contesto ondulato e fratto della regione, ovunque puntellata da un continuo saliscendi di tornanti.

 

LA BREAK WAGONETTE IN ESPOSIZIONE

 

La vettura maceratese di ignoto fabbricatore è di piccola taglia ed ha sei posti vis-à-vis, mentre sulla cassetta di guida c’è spazio per due. La cassa in legno, dotata del consueto ingresso posteriore, presenta fodrine in truciolato decorate a finto vimini e l’arco per il passaggio di ruota. La sua linea inconfondibile è data dal tettuccio in legno che sorregge le tendine in tela di cotone, foriere di un utilizzo prevalentemente estivo. La tecnica costruttiva risulta piuttosto moderna dato l’impiego di balestre ellittiche e di freno a manovella. Oltre al parafango a ventaglio anteriore e a quelli laterali, si rilevano maniglie e passa redini e due fanali tondi con marchio “Sansoni”.

 

UNA PREZIOSA DONAZIONE

 

Essa è entrata a far parte della collezione nel 1967 grazie alla donazione della famiglia Ceccaroni Morotti Cambi Voglia di Muccia (Mc), un nucleo di tre importanti veicoli provenienti dalla tenuta della villa “La Maddalena”: la Wagonette, la Berlina di gala e la Berlina trasformabile. In particolare fu la Marchesa Francesca, terza di sette figli, a promuovere tale donazione, animata dalla consapevolezza che solo attraverso la fruizione pubblica, i suoi bei veicoli avrebbero goduto di una opportuna valorizzazione. Le tre antiche carrozze sono dunque espressione autentica del locale territorio e inorgoglisce l’istituzione – che vanta l’accezione di museo locale prima che di museo specializzato -, l’idea che esse abbiano solcato le vie dei paraggi. Inorgoglisce altresì la consapevolezza che “La Maddalena”, rimasta intatta nel suo splendore secentesco, sia stata una dimora costruita per volontà del cardinale Angiolo Giori (Camerino, 1586 – Roma, 1662), segretario di Papa Urbano VIII, e solo in seguito acquisita dagli attuali proprietari che ne hanno ricavato un’azienda agricola.

 

SULLE STRADE MARCHIGIANE NELL’800

 

A confermare la consueta presenza di questa tipologia di carrozze sulle strade marchigiane contribuiscono la documentazione fotografica di fine Ottocento e l’abbondante produzione di cartoline dei primi anni del secolo successivo. Tuttavia è la scrittrice Dolores Prato (Roma 1892 – Anzio 1983) ad esprimere e condividerne con maggiore efficacia l’utilizzo nel locale contesto storico, unitamente a quello delle vetture più diffuse: Landau, Cacciatora, Volantino… Attraverso la sua umanissima testimonianza di vita nel romanzo “Giù la piazza non c’è nessuno”, una sorta di autobiografia tracciata nello stile di un profondo soliloquio in cui si affastellano i ricordi di infanzia nel paese marchigiano di Treia, la Break Wagonette riesce a prendere forma sensibile nel tratteggio di un affresco universale.

 

SI DICEVA “PRENDERE IL LEGNO”…

 

“La gente come noi affittava la carrozza… ma le carrozze non stavano ad aspettare in piazza col cavallo già attaccato come nelle grandi città, lì si avvertiva il vetturino: Tarquì di Terè, o Santanatoglia. Noi eravamo per questo contro quello che risultava volgare; si aspettava che portasse il cavallo fuori dalla rimessa e che lo attaccasse. Quell’attesa dava fierezza alla gita. …Si diceva prendere il legno, non affittare una carrozza. Il legno aveva la suggestione che ha la fuoriserie. C’erano tante diverse carrozze. Il volantino era leggero, scoperto, fatto di un sedile per due persone, le stanghe per fissarci i finimenti del cavallo o del somaro e due ruote; poco più consistente del seggiolino con cui i fantini guidano i cavalli nelle corse. La cacciatora era più del volantino, ma non la vedo bene; sento la voce della zia che dice “è partito con la cacciatora”.

 

Come mi sembrò d’essere istruita quando imparai che si chiamava brec quella carrozza a quattro ruote con due sedili disposti di faccia: facevano con quello avanti del cocchiere un quadrato aperto da un lato, dove si saliva; era coperta da un tetto di stoffa tenuto su da quattro paletti di ferro che ne reggevano altri quattro coricati a quadrato ; da questo cadevano tutt’intorno alla carrozza delle tendine chiare che si potevano scostare, alzare, regolare secondo il sole, l’aria, i gusti. Non era italiano il nome, lo sentivo, come si scrivesse non m’importava. Era una carrozza il brec che compariva col caldo e scompariva col freddo. Nel brec le ginocchia dei viaggiatori si toccavano senza lasciare spazio alcuno; era come se procedessero camminando di fianco… Come nome di sicuro c’era il landò, forse anche come esistenza, ma io vedevo la carrozza chiusa e quella aperta. Con quella chiusa, a due cavalli, andavamo a Loreto; con quella aperta che aveva un mantice che si poteva tenere su come una mezza capanna, o lasciarlo flesso, tirata da un cavallo, si andava a Macerata… ”.

Articolo di M. Vittoria Carloni
Photo Credits: Archivio fotografico dei Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi

Notiziario del Gruppo Italiano Attacchi
Nr. 1 | Gennaio – Febbraio 2015


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