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Come pensa un cavallo

Abbiamo visto che, in quanto erbivoro, il cavallo è geneticamente strutturato per attuare determinati comportamenti, tutti finalizzati a garantirne la sopravvivenza e la sicurezza. Per meglio comprendere le modalità secondo cui esso sceglie i suoi comportamenti è necessario conoscere la sua struttura pensante. Infatti uno degli errori più comuni in cui incorriamo nel nostro rapporto con il cavallo è paragonare i suoi comportamenti ai nostri partendo dal presupposto che i suoi pensieri siano simili ai nostri. Questo può essere relativamente vero solo se noi paragoniamo la struttura pensante del cavallo a quella di un bambino che ancora non abbia imparato a parlare e a formulare i suoi pensieri attraverso le parole.

Il bambino appena nato, fino all'età di 18/24 mesi e talvolta anche oltre, giudica il mondo circostante secondo le sue sensazioni, che possono essere solo positive o negative: cataloga quindi tutte le sue esperienze in due grandi insiemi e ben difficilmente è disposto a spostare un evento che ha etichettato come negativo fra quelli che ha considerato positivi, a meno di un intervento mirato dei genitori (cioè di qualcuno gerarchicamente superiore a lui). Successivamente, una volta acquisita la struttura del linguaggio parlato, imparerà ad effettuare altre distinzioni, per cui un evento potrà essere considerato negativo ma non così negativo quanto un altro, e inoltre potrà essere originato da diverse cause che ne determineranno il grado di negatività. Ad esempio essere sgridato dal papà per aver rotto un bicchiere sarà negativo, ma non quanto l'esserlo per aver rotto il televisore, e se fosse la mamma a sgridarlo di certo la cosa sarebbe meno grave (o più grave, dipende da chi ha una maggiore autorevolezza in famiglia!).

Un cavallo invece non è mai in grado di arrivare a questa distinzione: come tutti gli animali pensa secondo una struttura binaria che prevede solo due possibilità – il positivo ed il negativo. Il massimo della distinzione che arriverà ad operare sarà fra un "negativo" che minaccia la sua sopravvivenza ed un "negativo" che lo disturba; nel dubbio tuttavia deciderà sempre di preservare la propria vita e di conseguenza arriverà a considerare come estremamente minaccioso anche un evento insignificante come un sacchetto di plastica sollevato dal vento. Come un bambino piccolo, sarà estremamente restio a catalogare come positivo qualcosa che ha in passato percepito come negativo, e noi potremo intervenire in tal senso solo ponendoci con l'autorità del capobranco ed attuando comportamenti ben precisi.

E' importante ricordare che questa struttura pensante regola ogni singola decisione del nostro cavallo e pertanto influenza il suo rapporto con tutto quello che lo circonda, noi compresi. Il primo istinto del cavallo è l'allontanamento da ciò che considera negativo: in prima istanza la predazione, che certamente intende in modo diverso da come la intendiamo noi (di questo argomento parleremo diffusamente nel prossimo intervento). Una volta salvaguardata la propria sopravvivenza, il suo secondo istinto è la ricerca del positivo: in primo luogo il contatto con un soggetto amico, meglio se una guida (cioè gerarchicamente superiore), con il quale interagire attraverso il gioco, il contatto fisico, ecc.
Nel nostro approccio al cavallo dovremo quindi rispettare queste sue priorità. Prima di tutto lo avvicineremo dandogli la precisa sensazione di essere al sicuro e di avere di fronte un suo simile che lo conosce e lo rispetta: nel fare questo dovremo dare segnali chiari, che non possano essere da lui collocati nell'area delle esperienze negative. Ogni nostro gesto può essere da lui equivocato, ma fortunatamente non sono poi molte le precauzioni da mettere in pratica per rassicurarlo. A questo punto avremo un cavallo tranquillo, con il quale potremo divertirci e che vivrà con lo stesso nostro piacere il lavoro quotidiano in maneggio, le passeggiate e anche le operazioni di scuderia.

Tutto questo ci permette di comprendere meglio su quali basi il cavallo interagisca con l'essere umano: non "giudicherà" mai la singola persona, bensì darà una valenza positiva o negativa ai suoi atteggiamenti. Per quanto il cavallo, come ogni altro essere vivente, possa avere le sue "affinità", questo non influirà mai sui suoi comportamenti: un soggetto – umano o equino – che gli si presenti come capobranco verrà da lui seguito e rispettato sempre e comunque, perché questo comportamento fa parte della sua natura ed è funzionale alla sua sopravvivenza e sicurezza. Allo stesso modo, un soggetto che gli si presenti con una gestualità non chiara verrà considerato negativo, cioè una minaccia, e di conseguenza il cavallo attuerà comportamenti difensivi, la fuga o – nell'impossibilità di allontanarsi – l'attacco.
E' infine importante rendersi conto che la struttura pensante del cavallo è diversa dalla nostra, ma non per questo inferiore o meno efficace. Comprenderne la diversità significa accettare il cavallo per quello che è e non per quello che vorremmo che fosse, e questa è la più alta forma di amore che possiamo offrirgli.

 

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Fabrizio Peano

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