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Crisi dell’ippica, la LAV: "evviva!"

I cavalli possono e devono vivere anche senza l´ippica.
di N. Zurlo – Resp. Naz. Settore Equidi LAV

Strumentalizzare sembra l’operazione meglio riuscita del mondo dell’ippica, sia quando era un’industria fiorente, sia in questo momento di piena crisi economica.


In entrambi i casi, i cavalli “sportivi” – migliaia di animali allevati, selezionati, allenati per essere immessi nel mondo delle corse – sono stati e sono tuttora gli involontari protagonisti di campagne pubblicitarie accattivanti, volte da sempre ad attirare pubblico, finanziamenti, giro di scommesse, e oggi ad impietosire l’Italia, con la minaccia della macellazione di almeno 15 mila quadrupedi, visto che lo Stato ha ridotto del 40% gli stanziamenti previsti per il 2012.

 

Il comparto incasserà comunque ben 235 milioni di euro, una cifra altissima, considerato che si tratta di soldi pubblici – di tutti noi – investiti per un’attività ormai in forte declino. Le scommesse ippiche infatti sono ormai appena l’1,7 del totale, con un calo del 25% solo nell’ultimo anno. Un’industria ancora sovrassistita dunque che, aldilà delle nostre considerazioni etiche, in un libero mercato avrebbe chiuso già da tempo.

Il settore nei suoi proclami sta puntando poco sui lavoratori umani che rischiano il posto, ma ha acceso deliberatamente i riflettori sui cavalli e sulla misera sorte che toccherà loro, anche negli scannatoi abusivi, o nel circuito delle corse clandestine.


La cosa che molti ignorano – e se non parlassimo della vita e della morte dei cavalli sorrideremmo – è che l’industria dell’ippica ha mandato, manda e manderà alla macellazione buona parte dei “suoi” cavalli sportivi, una volta a fine carriera. Soprattutto antecedentemente alla possibilità di destinare il cavallo a vita, una grande fetta degli animali ritirati dalle piste finiva i suoi giorni al macello. Solo una parte residuale di essi veniva venduta ad altri circuiti di lavoro o tenuti come riproduttori.


È vero che negli ultimi anni molti allevatori o proprietari hanno scelto per i propri cavalli l’opzione non DPA (Destinazione Produzione Alimentare), escludendoli cioè definitivamente dalla macellazione. Tuttavia, a seguito di una nostra piccola indagine, abbiamo verificato un ritorno al cavallo DPA in quanto l’agevolazione sulla somministrazione dei farmaci per quelli non DPA (nessun registro dei farmaci né obbligo di registrazione dei trattamenti farmacologici, che possono includere terapie e farmaci proibiti al cavallo macellabile) aveva però come contropartita il mantenimento a vita dell’animale, qualora invenduto e/o non più ricollocabile. Chi ha interesse a dare da mangiare a un cavallo inutilizzabile, non più fonte di reddito ma solo di spese?

È una “lezione” che hanno imparato anche semplici privati, proprietari di cavalli usati per l’equitazione: meglio compilare un registro e rinunciare a determinati farmaci, che avere un cavallo difficilmente vendibile o anche solo regalabile, soprattutto se già in là con gli anni e ormai consumato dall’attività sportiva.

 

Un cavallo DPA, dopo una vita di lavoro per l’uomo, può far guadagnare anche gli ultimi 500 euro con la sua macellazione.
Più che mai l’industria dell’ippica, che come tutte le aziende deve creare profitto e non perdita, non può concedersi il lusso dell’etica, posto che ci possa essere un senso etico in un’attività di lavoro basata sullo sfruttamento animale.

Oltre al doping, combine, tris truccate  e alle indagini effettuate dalla Magistratura sulla gestione di certi ippodromi – ricordiamo quello di Aversa, anni fa blindato dall’Unire per arginare  le infiltrazioni della criminalità organizzata, tanto per citarne uno – dobbiamo anche sottolineare il fenomeno della scomparsa dei cavalli ritirati dalle competizioni agonistiche.


Un cavallo rischia di passare in un batter d’occhio dalle corse legali a quelle illegali. I soggetti ancora in buone condizioni di salute, ritirati dalle piste per calo delle prestazioni o perché non fanno più i tempi, vengono messi in vendita e chiunque può acquistarli.


Naturalmente la responsabilità dell’uso criminale dei cavalli nelle corse clandestine è direttamente imputabile agli autori di questo deprecabile reato, ma non possiamo non rilevare che la prassi generalizzata di vendita dei cavalli a fine carriera a commercianti o privati può influire, seppur indirettamente, su tale odioso fenomeno. 


La documentazione di scarico dell’equide dai registri si ferma alle società che gestiscono gli ippodromi, con una comunicazione di vendita alla quale non seguirà mai la registrazione del passaggio di proprietà. Né da parte di chi ha acquistato direttamente in ippodromo, né (e men che meno) da parte dell’utilizzatore finale, cioè chi fa correre il cavallo in una corsa clandestina.


È complice di questo sistema anche la procedura attualmente in vigore per il passaggio di proprietà dei cavalli, che di fatto permette di perderne la tracciabilità e agevola considerevolmente il perpetuarsi delle attività illecite, fino ad arrivare alla possibilità di dichiarare, attraverso un modulo ad hoc da poco introdotto nella modulistica dell’Unire/Assi, la perdita di possesso di un cavallo, togliendolo dalla banca dati del Libro Genealogico al quale è iscritto. Al punto 2, il richiedente dichiara “che non è in grado di indicare il nominativo dell’attuale proprietario” (!) e con 100 euro può far scomparire legalmente un cavallo che gli è appartenuto, fino a cinque esemplari per volta.

Tutto questo è una dichiarazione di totale fallimento dell’intero meccanismo di tracciabilità dei cavalli, che si preferisce perdere anziché trovare. E di strumenti ce ne sarebbero, per non permettere ai cavalli sportivi di finire chissà dove, se si applicassero semplicemente i regolamenti in vigore e, a seguire, ci fossero seri controlli sulla destinazione e sulla movimentazione degli equidi.

Siamo anche noi preoccupati per la sorte dei cavalli, sia per quelli DPA che potrebbero essere macellati, sia per quelli non DPA, una preoccupazione non diversa da quella che abbiamo sempre manifestato anche senza la crisi. Non ci piace che i cavalli vengano usati e peraltro come strumento a sostegno di un’industria che trae profitto dal lavoro degli animali.


Riguardo alle paventate soppressioni o alla macellazione abusiva cui potrebbero ricorrere alcuni per liberarsi dei cavalli, vogliamo ricordare che l’eutanasia di un animale sano, o la sua uccisione con altri mezzi, integra la fattispecie di reato di cui all’art. 544 bis del codice penale, che punisce con la reclusione da quattro a ventiquattro mesi chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale.


Dato il particolare momento e la concreta possibilità di uccisioni o sparizioni di cavalli, chiediamo anche  il massimo rigore nei controlli, tanto all’interno degli impianti sportivi quanto durante la movimentazione degli equidi su tutto il territorio nazionale.

Per concludere, bisogna prendere atto che gli italiani non sono più grandi appassionati di scommesse ippiche e quindi, a meno che lo Stato non obblighi tutti noi a scommettere sui cavalli per mantenere in piedi questo comparto, sarà necessaria una riconversione del settore, fino alla sua positiva scomparsa.

I cavalli possono e devono vivere anche senza l’ippica.

N. Zurlo – Resp. Naz. Settore Equidi LAV

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